Battuti a macchina, scarabocchiati a matita, meticolosamente vergati in inchiostro; raccolti in vecchi quaderni o agende, straripanti di ritagli, ornati di macchie di caffé e disegni a pastello.
I ricettari di famiglia sono tutti diversi, eppure tutti si assomigliano.
Come i diari o le rubriche telefoniche, fanno parte di quegli oggetti quotidiani che stanno scomparendo insieme all’abitudine di scrivere a mano.
Mila Fumini, storica dell’Università di Bologna, si è data la missione di salvarli dall’oblio digitalizzandoli nell’ambito di un progetto battezzato appropriatamente RAGU, o Reti e Archivi del Gusto.
In modo un po’ romanzesco, tutto è cominciato quando la cosa giusta è capitata sotto gli occhi giusti.
“Stavo aiutando un’amica a sgomberare uno scantinato e da uno scatolone sono spuntati dei vecchi quaderni di ricette, abbandonati dall’inquilino precedente. Sarebbero finiti nell’immondizia; così li ho presi con me.”
La sensibilità di Mila deriva dal suo lavoro nel campo delle digital humanities, ossia lo studio e l’archiviazione di diari, raccolte di lettere, memoriali, e di tutti i materiali che raccontano le storie di persone - spesso donne - su cui la Storia come la conosciamo tende a sorvolare.
“I ricettari di famiglia sono oggetti che tutti abbiamo o avevamo in casa, testimonianze dirette del modo di vivere di coloro che li hanno scritti. Eppure, facendo ricerca a riguardo mi sono resa conto che su questo tema c’è un vuoto.”
O meglio: nel tempo l’attenzione è stata interamente rivolta alle raccolte di ricette di alta cucina date alle stampe da uomini.
Non a caso il primo nome che viene alla mente è quello di Pellegrino Artusi, che se ha certamente avuto il merito di essere un appassionato divulgatore, di fatto non sapeva neppure cucinare: annotava le ricette preparate per lui dalla servitù - in primis dalla cuoca Marietta.
I ricettari recuperati da Mila sono invece per la stragrande maggioranza opera di donne, appuntati a mano, fatti di ritagli, di scambi, di istruzioni ricopiate e annotate; ciascuno è una creatura a sé, a metà fra il patchwork e l’auto produzione.
“L’obiettivo di RAGU è digitalizzare queste fonti per preservarle, ma anche per renderle accessibili al di fuori dell’ambiente accademico, così che chiunque lo desideri possa consultarle.”
Così la digitalizzazione permetterebbe di conservare un passato che, nel frattempo, il suo avvento ha quasi cancellato. “Oggi abbiamo infinito potenziale e infinita disattenzione,” osserva Mila. “Ma la memoria non è fatta solo di informazioni: è fatta di gesti, di ritualità, di affetti. E così anche la cucina.”
Sfogliando i ricettari raccolti dell’archivio, per la maggior parte datati fra gli anni ‘50 e ‘60 del novecento, emerge il ritratto di un’Italia che faceva ancora la spesa al mercato e nella drogheria sotto casa, seguendo le stagioni e le feste. Spesso le ricette appuntate sono proprio quelle di piatti speciali, legati alle ricorrenze e alle occasioni religiose, e dalla lista degli ingredienti si può indovinare lo status sociale di chi le scriveva.
“La storia è fatta anche dalla storia quotidiana; perché la realtà è un tessuto complesso, fatto di tanti fili.” osserva Mila. “Io sono profondamente convinta che la capacità di leggere una fonte sia negli occhi di chi la studia. Così, più coinvolgiamo persone diverse, con background diversi ed esperienze di vita diverse, più finestre si aprono.”
Il prossimo grande passo per RAGU è la messa online del portale con i ricettari. A questo scopo, e per la creazione di una borsa di studio dedicata, Mila si sta attivando sui fronti del fund raising e della divulgazione.
“Ora che sarà di nuovo possibile, riprenderemo gli incontri aperti al pubblico” spiega Mila, “per raccontare il progetto e raccogliere i ricettari di chi voglia donarli, così da renderli parte dell’archivio.”
Segui RAGU su Instagram e su Facebook per rimanere al corrente sulle attività del progetto e sui prossimi appuntamenti: magari anche nella tua soffitta c’è un vecchio, unico ricettario che aspetta solo di essere condiviso.
La storia del nostro Paese è anche una storia di ricette