Il giro del mondo in quattro pizze

Dai vicoli di Napoli a piatto universale

Fatte 'na pizza c'a pummarola 'ncoppa, vedrai che il mondo poi ti sorriderà” diceva una canzone di Pino Daniele.
Di sicuro, il mondo sorride alla pizza: non c’è nessun altro piatto che sia così trasversale, amato da persone di tutte le età e di tutti gli ambienti, capace di trasformarsi fino al limite della riconoscibilità pur rimanendo sempre, indiscutibilmente, pizza.

La semplicità è forse la chiave che le ha permesso di diffondersi, abbinata alla sua vocazione di cibo “di strada”, facile da trasportare e mangiare anche seduti in macchina o sul divano con gli amici. 
Pizza spensierata, pizza vagabonda: facciamoci accompagnare in un giro del mondo e del tempo, allora, in quattro pizze.

La pizza dei lazzaroni

In Italia, la storia della pizza si perde nella notte dei tempi: la prima volta che il termine fa la sua comparsa è verso l’anno Mille, per la precisione nel 997; ma il piatto ha sicuramente una storia più lunga.
Le focacce che secondo Virgilio Enea e i suoi seguaci prepararono per sostituire i piatti, al loro arrivo nel Lazio, erano già antenate della pizza; ma il progenitore più diretto, già noto con il nome di “pizza”, era quello venduto per le strade di Napoli nel diciottesimo secolo.
Una spianata guarnita con ingredienti semplici, veloce ed economico, era il principale sostentamento delle classi più povere, i “lazzaroni”, che con due soldi di pizza sfamavano tutta la famiglia. Poteva essere guarnita solo con lardo, aglio e sale, ma era possibile averla anche con il caciocavallo, il basilico e i cecenielli.

La pizza Margherita

Le sorti della pizza cambiarono radicalmente quando incrociarono quelle del neonato regno d’Italia.
Secondo il mito, nel 1889 il re Umberto I e la regina Margherita, in visita a Napoli e stanchi delle elaborate pietanze servite a corte, gustarono le pizze preparate per loro dal pizzaiolo Raffaele Esposito.
La pizza fatta con pomodoro, mozzarella e basilico per celebrare i colori della bandiera italiana piacque al punto che in onore della regina venne battezzata “pizza margherita”; e il resto è storia. 
La pizza si trasformò da specialità prettamente napoletana a piatto simbolo dell’Italia unita.

La pizza sbarca in America

La pizza arrivò nel nuovo mondo insieme ai primi emigranti già dalla fine dell’800; ma per molto tempo rimase confinata all’interno delle comunità italoamericane, anche quando cominciarono ad aprire le prime pizzerie, prima fra tutte Lombardi’s a New York nel 1905.
La svolta arrivò con il rientro in patria dei soldati che avevano conosciuto la cucina italiana durante la Seconda Guerra Mondiale; tornati a casa, quando cercarono i piatti che avevano imparato ad apprezzare al fronte trovarono le pizzerie di Little Italy pronte ad aspettarli.
La pizza “all’americana” è naturalmente piuttosto diversa da quella made in Italy, a partire dagli ingredienti: salse di pomodoro più dense e aromatizzate, formaggio asciutto e stagionato, l’immancabile salame “pepperoni”, per non parlare di aggiunte esotiche come le fette d’ananas. 
La versione più lontana dal nostro gusto forse è la famigerata deep dish di Chicago: più una torta salata che una pizza, alta diversi centimetri, con una crosta spessa e croccante e un abbondante ripieno di formaggio, pomodoro e salsiccia.

Dalla Cina con amore

Neppure l’estremo oriente è rimasto immune al fascino della pizza; il Giappone ha visto aprire le prime pizzerie già dopo la Seconda Guerra Mondiale, in buona parte grazie allo sprint imprenditoriale degli emigrati italo americani.
Ma ora la pizza sta seducendo anche il dragone cinese, contribuendo addirittura a una trasformazione delle abitudini alimentari: i consumi di latticini stanno infatti aumentando in un Paese che per tradizione consuma pochissimo latte e derivati.
Anche in questo caso, la pizza ha cambiato veste proponendo condimenti più vicini al palato locale, ad esempio pesce, pollo e salsa di soia.
Perciò, a Shangai potreste gustare una pizza con gamberi, bacon, salame, pomodori ciliegini, mais, formaggio e prezzemolo. 
Oppure con il durian.

Quanti ingredienti si possono variare nella pizza, prima che smetta di essere pizza? E’ un dilemma simile a quello della nave di Teseo.
Forse, pizza is a state of mind.
 

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