Uno dei cibi che meglio rappresenta la tradizione toscana è il pane sciocco, fondamentale fonte di sostentamento.
Intorno all’origine del caratteristico pane non salato da tempo discutono storici e gastronomi. Leggenda narra che a Firenze si sia sempre fatto il pane sciapo - privo di sale - per non pagare le alte tasse imposte da Pisa sull’oro bianco (come veniva chiamato).
Se la verità è da ricercare negli abbinamenti con altri, piuttosto saporiti, prodotti tipici della cucina regionale - a cominciare da salumi e formaggi stagionati - la storia del pane insipido restituisce un’immagine curiosa della Toscana, dove tradizione gastronomica e popolare si fondono in un groviglio di leggende dibattute, tutta da percorrere.
A Siena, terra di contrade e specialità gastronomiche come la zuppa di fagioli e gli gnudi, spiccano i pici, tradizionali spaghettoni fatti con farina e acqua. Tirati a mano, sembrano trarre il nome dal gesto di “appiciare” l’impasto con il palmo della mano per conferire al picio la sua forma tipica. Qualcuno invece ne fa derivare il nome dal Pigelleto, l’abete simbolo della riserva naturale senese tra Monte Amiata e Monte Civitella, la cui forma stretta e allungata sembra richiamare proprio i pici.
Secondo la ricetta antica i pici sono abbinati al tradizionale condimento all’aglione. Anche questo sugo si lega alle radici culinarie del territorio, con un nome che non dipende dal contenuto di aglio, ma dall’utilizzo di una varietà autoctona di grandi dimensioni, coltivata proprio in val di Chiana e in Val d’Orcia, le zone originarie dei pici. Un aglio più profumato e delicato dell’aglio comune, a prova di bacio!
A Pisa, non si può rinunciare alla girandola di sapori del mallegato. Una particolarissima versione del sanguinaccio, che nella definizione di Slow Food è “l’insaccato antimoderno per eccellenza” per l’aspetto scuro alla vista e un sapore non facile, dolce e aromatico al tempo stesso.
Curioso nel gusto e nell’origine del nome (mal legato), che deriva dal modo in cui l’insaccato veniva e viene tutt’ora preparato secondo la ricetta tradizionale. Il composto - sangue fresco, pinoli, lardello tagliato a cubetti, arricchito con uvetta, cannella, noce moscata, sale e pepe, amalgamato e insaccato nel budello di vitello - viene chiuso da un nodo molto lento, per evitare la rottura del budello durante la cottura. Si gusta crudo, oppure a fette spesse, infarinato e fritto in padella, accompagnato da legumi e un bicchiere di Montepulciano, perfetto per bilanciare le note dolci dell’uvetta.
E se la cucina non può fare a meno di risentire di storie e tradizioni, non si possono dimenticare i risvolti culinari del campanilismo toscano, quello di Guelfi e Ghibellini, ma anche quello tra città rivali come Livorno e Firenze. È il caso del baccalà, al centro di una faida tra versioni tanto antiche quanto “litigate”. Unico ingrediente “di mare” capace di mantenersi nel tragitto da Livorno a Firenze, grazie alla conservazione sotto sale, il baccalà - ingrediente povero - diventa protagonista di una vera e propria specialità cittadina.
Nella versione fiorentina del baccalà i tranci sono infarinati, fritti e successivamente “intingolati” bene nel pomodoro.
Una ricetta golosa, che mette d’accordo tutti i contendenti.
Partite con noi per gustare le delizie toscane, carpirne segreti e anneddoti!
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Mille varietà di fagioli, cento ricette, una bontà unica